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PEDAGOGIA NELLA POESIA DI DOMENICO RUGGIERO |
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L’ESPERIENZA DELLA POESIA NELLA LA SUA FUNZIONE PEDAGOGICA E MORALE
IN DOMENICO RUGGIERO.
FABIO SQUEO
Nel pomeriggio del sabato sera
al calar della luna
su di un mare inconsueto
splendeva un sole carico di raggi,
che elargiva al paesaggio
una rada nebbia di pioggia chiara
mentre il vento diradava i fiori
già seccati dal caldo invernale
e la prima primavera
faceva nascere giovani virgulti.
Era il sogno di chi tutto spera
e niente raccoglie.
Domenico Ruggiero
Adottare la poesia come mezzo per comunicare e con funzionalità educativa è uno dei principali motori di crescita dell’individuo. Comunicare non significa sommergere l’ascoltatore di informazioni, ma educarlo all’ascolto, alla valorizzazione della parola, alla comprensione delle diverse ermeneutiche. Comunicare non è un’arte che si rivolge semplicemente all’ascoltatore, ma, piuttosto, invita a rivolgere il proprio contenuto sull’anima di colui che sta argomentando. L’obiettivo è quello di trasmettere qualcosa che è, in qualche maniera, propriamente nostro. Anche se, va detto, che tutto ciò che è, per così dire, propriamente nostro, non è “il nostro”, ma è “per noi”. La vita non è nostra, non è di nostra proprietà; ci appropriamo delle cose, ci confrontiamo con le persone, nella misura in cui, queste, sono funzionali alla nostra evoluzione, e imprimiamo, così, il timbro della nostra esclusività. Ci appropriamo delle cose solamente a posteriori, quando le cose, prim’ancora di essere nostre, sono date a noi, donate a noi. La vita è un dono, la comunicazione è un dono; e la poesia, quale binomio essenziale tra le due, si fa dono sintetico ed essenziale. Nella poesia “Segni particolari”, Domenico Ruggiero scrive:
Segni particolari:
amore rinnovabile
con la fioritura del nespolo
che con la forza del destino
deciderà della mia consuetudine.
Segni particolari:
il brulicare delle opere
che seguiranno il padrone
inafferrabile sentiero
di sangue appena bollente.
E l’eterno sviluppa
giorni andati
giorni mai esistiti
risorse che restano
sempre le stesse
per riuscire ad amalgamare
il sapore della vita.
Inizialmente, il poeta cerca di trasmettere la ragion d’essere/esistere del dono, nei «giorni mai esistiti» che,fa parte di noi; lo percepiamo in quanto nostro e non di altri; e attraverso una buona comunicazione, lo traduciamo, con la presenza dell’altro, come qualcosa di unico ed irripetibile. In realtà, il tentativo è quello di tradurre su di un filo invisibile, ciò che “proviene da me”, ciò che è “in-me, permane in me” senza che ne conosca i caratteri della permanenza. Cerco di realizzarlo in quanto “mio” e cerco di comprenderlo in quanto “me”; e, poiché tutto ciò che è in-me, è destinato a non appartenere nell’interezza e nella consapevolezza della mia interezza, ogni cosa, si consegna al non-essere mio o di me, ma solo per- me e per il me, nella permanenza dei momenti, «nell’eterno che sviluppa giorni andati».
In altre parole, ciò che “proviene da me”, lo realizzo nel progetto della mia realizzazione di essere questo e non quest’altro, quest’altro e quest’altro ancora, nel sapere che tutto ciò che era in-me, e lo percepivo come tale fino a poco tempo fa, in verità, non rientra negli schemi del mio possesso costitutivo. Tutto ciò che permane in-me resterà lontano da me, pur essendo per me. Questa è l’essenza del dono. Il dono ha in sé questo timbro enigmatico: quello di essere … senza la ragione. Il dono, quando c’è, e dal momento che “c’è” non trova la ragione della provenienza nell’essere da cui è stato concepito. Ecco che occorre un’educazione edificante alla comprensione non semplicemente della poesia, ma del “dono” della poesia, della vita che si lascia vivere nell’incognita, in quanto vita mia, e non come la mia vita. Per Domenico Ruggiero, l'educazione alla poesia non è un processo naturale, ma deve essere guidata, corredata di buone referenze e attuata nella spontaneità. Le parole, i pensieri, possono forgiare la realtà che ci circondano e, quest’ultima, può essere modificata secondo le nostre strutture orientative.
Educare alla poesia è un operazione funzionalmente pedagogica, poiché non solo coinvolge l'intera sfera emotiva , ma sviluppa originariamente la capacità di comprendere le sfumature dei sentimenti e le ragioni del mondo all’interno del quale si vive. Il poeta, in possesso di questi strumenti pedagogici, immerso nella conoscenza delle immagini e delle armonie, diventa a sua volta autore, non solo della poesia ma anche della vita che si traduce in poesia. La poesia si rigenera, nasce per una seconda volta insieme al suo autore e, di conseguenza, il percorso della vita diviene infinitamente reale e pieno di grazia. Di fronte al tipo di comunicazione suggerito dagli educatori della bellezza, della lirica, la poesia consente di recuperare il valore del dialogo e propone, mediante esso, anche di trasmettere un messaggio cristiano: “ama il prossimo tuo come te stesso”.
Ad avviso di Ruggiero, educare alla poesia significa anche educare all’uso della parola, delle sue proprietà ineffabili, del suo significato in ordine al pensiero. La parola poetica, il cui senso può essere afferrato solo nel silenzio o nel fragile bisbiglio, ci invita all’ascolto del nostro ‘traffico interiore, fatto di momenti irrazionali e istintivi, per certi versi. Essa, contemporaneamente ci spinge ad un ascolto empatico del punto di vista dell’altro. La poesia, quindi, favorendo l’incontro con l’altro, diventa un esercizio per imparare ad ascoltare l’altro e nello stesso tempo il nostro vissuto latente, le nostre potenzialità interiori.
È proprio la poesia, per Ruggiero , come l'arte e la pedagogia, a condurre i giovani e le giovani al di fuori della noia dell'esistente; la poesia porta nell'animo dei ragazzi e delle ragazze quella traccia filosofica di trascendenza immanente, ma anche di formazione consapevole.
La poesia è nelle cose di tutti i giorni, anche e soprattutto in quelle più vicine a noi; ciò che le sottrae dall'ovvietà e dalla dimenticanza è il lavoro del poeta.
La poesia, come la filosofia, dà alle nostre comunità la capacità di riflettere, di chiedere, di vedere quello che non vedono, di scoprire altre dimensioni del tempo, di riconoscersi negli altri, di comprendere la libertà e il valore della parola. È improbabile che i sistemi educativi cambino per accogliere la poesia e la filosofia come cammini di lettura, come potenze intellettuali ed estetiche. Quel lavoro, per fortuna, lo svolgono i poeti stessi, facendosi ascoltare alle fiere del libro, nelle presentazioni e là, dove si percepisce «l’aroma del covone”.
C’è profumo di casa di campagna
con gli archi a nervetto
i tufi in calore
i cavalli e gli asini nell’androne
le galline nel pollaio
i pomodori stesi a seccare
la salsa già pronta
per essere servita
e i bimbi che giocano
a saltarello nel cortile.
Il tutto senza spiegazione,
sparito nel nulla dell’agitazione,
frutto della globalizzazione umana.
Perché, Dio, è successo questo?
Nell’ormai prossima fine,
mancherà a tutti
l’aroma del covone.
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