Di seguito, abbiamo l’onore di presentare il pre-zioso riassunto, in fregio di Lunigiana Dantesca, del saggio oggetto della pre-sente nota, portato dalla penna amorosa della stessa Elisabetta Landi.
Presentazione
L'Amore, la Minne, la Rosa, la Sapienza, la Dama, la Per-fezione, la Completezza, la Vergine sono a volte termini complementari, altre volte si-nonimi, in un linguaggio sim-bolico che unisce in un par-ticolare convivio gli iniziati alla “disciplina d'amore”, stupisce i mistici, esalta i filosofi e, soprattutto, scavalca i secoli e le aree geografiche. Partecipano al convivio di tale amorosa sapienza poeti, ca-valieri, trovadori, pittori, mo-naci, santi e profeti, che na-scondono dietro un linguaggio apparentemente discorde, ma sottilmente simile, un'ascesi dolce e amara, intorno alla quale si sono cimentate le anime più eccelse, gli aedi, i re, e a volte i giullari. Essi hanno cantato ogni volta qual-cosa di particolare, d'inef-fabile, usando linguaggi di-versi hanno parlato per sé stessi e per i pochi in grado di “intendere”, hanno nascosto nella semplicità della pre-ghiera verso un Amore sia u-mano che transumano, i ter-mini caratteristici sia della fe-de che dell'alchimia.
E. LANDI – C. LANZI – A. BONIFACIO – V. DANDOLO
IN LAUDEM VENERIS:
DALLA PARTE DI VENERE
«O luce etterna, il cui lieto splendore/
fa bello il terzo ciel dal qual ne piove/
piacer, vaghezza, pietate ed amore,/
del sole amica, e figliuola di Giove,/
benigna donna d'ogni gentil core,/
certa cagion del valor che mi move/
a' sospir dolci della mia salute,/
sempre lodata sia la tua virtute»
(Giovanni Boccaccio, Filostrato, III, 74).
Così il Boccaccio, nel poe-metto in ottave scritto a Na-poli intorno al 1338, intrec-ciava un personale omaggio alla Dea dell’Amore. Lo scrittore era giovane; nel suo immaginario agiva una percezione viva degli dei degli antichi e coesisteva con l’epica cavalleresca e il Roman de Troie che si leg-gevano alla corte angioina.
Nella mentalità corrente, al-l’epoca dello scrittore, Ve-nere aveva un doppio ruolo. Travolta nella caduta degli dei dalla fine dell’età clas-sica, nei trattati astrologici appariva come tutte le di-vinità in vesti di entità pla-netaria, ed esercitava la ti-rannia degli astri. Forza co-smica opposta a Saturno, dominava i temperamenti e gli umori, e presiedendo alla fertilità e alla vita imprime-va un impulso verso la bel-lezza pagana; era un impul-so dionisiaco, che, complice l’approccio etico all’armo-nia del cosmo, portava su di sé l’ombra del “corporal dilecto”.
«Venus domina et fortuna […] dirigi vina, requies, gau-dia, cum mulieribus iacere». Dal Picatrix, che consegnò all’Occidente la dottrina delle immagini, l’invocazione rie-cheggiò nello Speculum Na-turale (sec. XIII), e veicolò un’immagine dispotica del pianeta.
Ma gli umanisti, che distin-guevano attraverso i dialo-ghi di Platone tra le due Ve-neri, Venus Urania e Venus Pandemia, e conoscevano la Venus Genetrix di Lucrezio, non ignoravano il valore simbolico positivo di questa Dea. Figura allegorica della Poesia Cavalleresca, e Si-gnora dei Giardini d’Amo-re, essa promuoveva al tem-po stesso un’immagine alta del Femminile, tramite per la Pace, la completezza, la riunificazione e l’integra-zione di sé. A lei da più di un secolo si rivolgeva, nel dolce linguaggio della Min-ne, la mistica trovadorica che attraverso l’Europa era arrivata a Dante e ai Fedeli d’Amore. Il ruolo salvifico della “Donna”, un Femmi-nile-Spirito «divinizzante e mezzo realizzativo» (Clau-dio Lanzi), era necessario al “percorso”, che assomiglia-va, e assomiglia, ad una guerra, perché chiede il co-raggio della trasformazione; e alla fine la resa. Di qui, il premio del “buon com-battimento”: la concilia zio-ne dinamica degli opposti, o la discordia concors, identi-ficata da Pico con l’essenza stessa della Pulchritudo.
Del resto, non a caso Afro-dite, madre di Armonia, in primavera si congiungeva lungo lo Zodiaco ad Ares, dio della guerra, e questo era il suo trionfo.
Così, nei codici illustrati do-ve gli Dei planetari si ade-guano all’etica dell’Amor Cortese, regolata, appunto, dalle norme della cortezia, Venere governa come una signora sui suoi Fedeli: nei Giardini d’Amore del Liber Physiognomiae (1440) o nel codice De Sphaera (1475), realizzati per gli Este (Mo-dena, Biblioteca Estense), oppure nelle illustrazioni de L’èpitre d’Othéa (1406-1408), dove i miniatori di Christine de Pizan la rap-presentarono in vesti di Frau Minne, o di una fata di un libro di féeries, mentre accoglie i cuori che le por-gono i suoi devoti (Londra, British Library).
I fedeli di Venere, in Fran-cia, erano gli enfants de Vé-nus, e nella società europea gli iniziati all’Ordine della Bellezza, i postulanti uniti in una concezione simbolica dell’eros, guida nel cammi-no verso la Conoscenza. Che passava, prima di tutto e necessariamente, attraver-so il riconoscimento del compito educativo di Afro-dite, forza ordinatrice, anzi-ché distruttiva. Così, in un desco da parto del Museo di Douai, attribuito ad Andrea da Firenze (1370), in un giardino d’amore nove gio-vani rendono omaggio alla Dea e intrecciano una bassa danza attorno a un fonte esagonale, richiamo alla simbologia lustrale, annun-ciando nel circuitus spiri-tualis del joi amoroso la philìa tra gli appartenenti a un nuovo Ordine Universa-le.
Così pure, nel desco con-servato al Louvre, l’icono-grafia astrologica dei Figli di Venere testimonia il prin-cipio positivo rappresentato dalla Dea, che nella Firenze pre-laurenziana indirizzò le menti allo Spirito attraver-sando trasversalmente l’Ar-te, la Letteratura, la Filo-sofia. Attribuita al Maestro di Ladislao Durazzo (1390 ca.), quest’opera equivocata a lungo dalla critica (quasi a testimoniare la difficoltà, per l’età moderna, nel co-gliere il senso filosofico di Afrodite), celebra nella for-ma dodecagonale la forza cosmica del pianeta.
Racchiusa entro una man-dorla, come all’interno di una maestà pagana, Venere appare ai fedeli. Sono eroi guerrieri: Paride, Achille e Troilo, di religione pagana; Sansone, di fede ebraica, e Lancillotto e Tristano, cri-stiani. Di culture e religioni diverse, i cavalieri si ingi-nocchiano in un verziere, l’hortus conclusus simbolo della Vita. Depositate le ar-mi, si apprestano a indos-sare quelle della Sapienza, e si offrono alla radianza del-l’Astro (forse, l’«igneo splendore della Madre» sa-lutata come Anima Mundi da Proclo?). Se c’è batta-glia, è una battaglia interio-re. L’eros diventa, allora, vittoria del Pensiero, ispira-zione divina e conquista della Contemplazione. Una vittoria faticosa, ma possi-bile sotto la guida di Amo-re.
«Quanto sien sante, quanto piene le forze d’amore», esclama nella quinta gior-nata del Decamerone il roz-zo Cimone, nobilitandosi al-la vista della Bellezza rapp-resentata da una fanciulla addormentata. Nel racconto, dove Eros avvicina il pro-tagonista a Dio e la cortezia accede a un livello di con-sapevolezza alto, la funzio-ne ammaestratrice di Vene-re appare evidenziata. A Fi-renze, ai tempi del Boccac-cio, la fede nella “Santa Venere” dell’Ameto e nelle virtù catartiche di Amore diventò centrale. L’impulso estetico si era evoluto, e si era trasformato in contem-plazione.
Promuovere «lo bel pianeta che d’amar conforta» ad un rango celeste, e ricomporre Virtus e Voluptas, intelletto e materia, fu, all’epoca, tra gli obbiettivi del pensiero europeo. E di questo aspet-to, introdotto dagli umanisti nel pensiero classico, la Dea rappresentò la metafora.
Cominciava, così, il percor-so “mistico” verso la Virtù Suprema, individuata nella Theologia Platonica di Fi-cino come processo di assi-milazione agli Dei. Riabili-tata grazie agli umanisti dall’aspetto di sensualità e lascivia diffuso in età me-dioevale, Venus Humanitas, porta della Bellezza e cul-tura animi coronava, supe-randole, le aspirazioni della cavalleria, e attraverso A-more, si avviava a mediare come Tiferet, la più centrale dell’albero delle sephirot, tra la Mater Materia e lo Spirito Immortale.
Se è vero, com’è vero, che la funzione del mito è quella di spiegare gli enigmi e la natura dell’Universo per scoprire il principio e la causa ultima di tutte le cose, allora una riflessione su Ve-nere gioverà, al giorno d’oggi, per svelare, attraver-so l’immagine di una deità equivocata, quel processo di liberazione dello spirito che, per dirla con Ernst Cassirer, «è il fine autentico di ogni educazione».
Così, allora, sempre lodata sarà la sua Virtute.
ELISABETTA LANDI
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Bollettino n° 71 - on-line
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