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Poesie, aforismi, filosofia, foto del mondo, concorsi, matematica, personaggi, UFO. |
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Copyright @ opere di Domenico Ruggiero
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Pier Paolo PASOLINI (a cura del CENTRO LUNIGIANESE DI STUDI DANTESCHI - 4-08-2012) |
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IL SOFA’ DELLE MUSE
RILETTURA DE LA RECENSIONE DI PIER PAOLO PASOLINI
E DI DUE PAGINE CONTINIANE
- SAGGIO -
Quando Pier Paolo Paso-lini pubblicò Poesie a Ca-sarsa, nel 1943, ne spedì copia al critico-filologo Gianfranco Contini, il quale recensì la raccolta sul Cor-riere del Ticino, per fuggire in un giornale non italiano l'atteggiamento ostativo del fascismo nei confronti delle lingue e delle letterature dialettali. Il giudizio di Con-tini è entusiasta:
«Pasolini è in quella sua lingua conclusa, sistematica, quasi mar-morea, che s'affranca senza lotta dai ritmi canonici delle abitudini paesane; e gli consente un de-scrittivismo semmai di linea e
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non di colore [...]. E' la vera nobiltà di una lingua minore, come il rumeno o il catalano, nella chiarezza di contorno (forse eccessiva per una grande lingua) e nella sua stessa apparenza fo-nica senza compromessi e sba-vature grammaticali di questa strofetta: "Tu sôs, David, còme il tòru in di d'Avril, - che tal lis mans d'un fi c' al rît,- al va dols a la muart» 1. Per il critico «questo è l'incanto minimo di Pasolini, e non vuol dire che noi intendiamo seguirlo fino all'es-tremo opposto, fino agli estremi opposti del poemetto La dome-nica uliva e alla violenza fatta al mondo dei morti per strapparne figure sensibili». A proposito della tradu-zione italiana dei versi in dialetto, che correda già l'e-dizione fra le mani di Con-tini e che venne scritta da Pasolini stesso, afferma an-cora:
«Quanto a una traduzione qua-lunque di queste citazioni ci ri-fiutiamo di fornirla: essa non è riuscita neppure all'autore; e poi rischieremmo di farle intendere come documenti psicologici, mentre quello stesso che è in loro di sentimento dominante funziona rigorosamente entro l'equivalenza linguistica».2
Poesie a Casarsa oggi è contenuto nel volume La nuova gioventù (Einaudi, 1975), che è diviso in due parti, La meglio gioventù (1941-53) e la Seconda for-
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Nota 1
Da David (pag. 16 dell'edizione Pier Paolo Pasolini, La nuova gioventù, Torino, Einaudi, 1975); nella traduzione del poeta stesso: "Tu sei, David, come un toro in un giorno d'Aprile, che nelle mani di un fanciullo che ride va dolce alla morte".
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Nota 2
Cfr. G. CONTINI, su Corriere del Ticino, 24 aprile 1943 (tutta la cit. da tale articolo).
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ma de "La meglio gioventù" (1974). Riguardo a quest'ul-tima, Pasolini in una nota finale invita il lettore a confrontare le varianti con la prima "forma". Ritorniamo però agli anni Settanta. La poesia che que-sto studio presenta appartie-ne alla Seconda forma: non è dunque del periodo friu-lano dello scrittore, ma, in friulano con traduzione dell' autore a pié di pagina, risale al periodo 1973-1974 ed ap-partiene alla sezione Tetro entusiasmo: La recessione * I jodarín bargèssis cui tacòns;/ tramòns ros su borcs vuèis di motòurs/ e plens di zòvins strassòns/ tornàs da Turin o li Germàniis./ I veciùs a saràn paròns dai so murès/ coma di poltronis di senatòurs;/ i frus a savaràn che la minestra a è pucia,/ e se ch'a val un toc di pan./ La sera a sarà nera coma la fin dal mond,/ di not si sentiràn doma che i gris/ o i tons; e forsi, forsi, qualchi zòvin/ -un dai pus zòvins bons tornàs al nit -/ a tirarà fòur un mandulìn. L'aria/ a savarà di stras bagnàs. Dut/ a sarà lontàn. Trenos e corieris/ a passaràn di tant in tant coma ta un siún./ Li sitàs grandis coma monds,/ a saràn plenis di zent ch'a va a piè/ cui vistís gris, e tai vuj/ 'na domanda, 'na domanda ch'a è,/ magari, di un puc di bès, di un píssul plasèir/ ma invessi a è doma di amòur. I antics palàs/ a saràn coma montagnis di piera/ soj e sieràs, coma ch'a erin ieir./ Li píssulis fabrichis tal pí bièl/ di un prat verd ta la curva/ di un flun, tal còur di un veciu/ bosc di roris, a si sdrumaràn/ un puc par sera, murèt par murèt/ lamiera par lamiera. I bandís/ (i zòvins tornàs a ciasa dal mond/ cussí diviers da coma ch'a èrin partís)/ a varàn li musis di' na volta,/ cui ciaviej curs e i vuj di so mari/ plens dal neri da li nos di luna -/ e a saràn armàs doma che di un curtís./ Il sòcul dal ciavàl al tociarà/ la ciera, lizèir coma na pavèa,/ e al recuardarà se ch'al è stat,/ in silensiu, il mond e chel ch'al sarà./ * Ma basta con questo film neo-realistico./ Abbiamo abiurato da ciò che esso rappresenta./ Rifarne esperienza val la pena so-lo/ se si lotterà per un mondo dav-vero comunista./ Così Pasolini traduce in nota la parte di testo in dia-letto – quella fra i due aste-rischi: * Vedremo calzoni coi rattoppi, tramonti rossi su borghi vuoti di motori e pieni di giovani strac-cioni tornati da Torino o dalla Germania./ I vecchi saranno padroni dei loro muretti come di poltrone di se-natori; i bambini sapranno che la minestra è poca, e quanto vale un pezzo di pane./
La sera sarà nera come la fine del mondo, di notte si sentiranno solo i grilli o i tuoni; e forse, forse,
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qualche giovane (uno dei pochi giovani buoni tornati al nido)/ tirerà fuori un mandolino. L'aria saprà di stracci bagnati. Tutto sa-rà lontano. Treni e corriere passe-ranno di tanto in tanto come in un sonno./ Le città grandi come mondi sa-ranno piene di gente che va a piedi, coi vestiti grigi, e dentro gli occhi una domanda, una domanda che è,/ magari, di un po' di soldi, di un piccolo aiuto, e invece è solo di amore. Gli antichi palazzi saranno come montagne di pietra, soli e chiusi, com' erano una volta./ Le piccole fabbriche sul più bello di un prato verde, nella curva di un fiume, nel cuore di un vecchio bosco di querce, crolleranno/ un poco per sera, muretto per muretto, lamiera per lamiera. I banditi (i giovani tornati a casa dal mondo così diversi da come erano partiti),/ avranno i visi di una volta, coi capelli corti e gli occhi di loro madre, pieni del nero delle notti di luna - e saranno armati solo di un coltello./
Lo zoccolo del cavallo toccherà la terra, leggero come una farfalla, e ricorderà ciò che è stato, in silen-zio il mondo e ciò che sarà./ 3 Bene si presta questo com-ponimento ad un discorso sulla visione che Pasolini ha della vita negli ultimi suoi anni.
Innanzitutto il tema della poesia appartiene alla serie di argomenti regressivi che accompagnano il mondo pa-soliniano: calzoni coi rat-toppi, borghi vuoti di mo-tori e pieni di giovani strac-cioni; ma si tratta di una regressione / progresso, nel-l'ottica del poeta. Perché borghi vuoti di motori sa-ranno più silenziosi, ergo
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Nota 3
Cfr. P. P. PASOLINI, La re-cessione, in La nuova gioventù, Torino, Einaudi, 1975, pp. 242-44.
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vivibili, inoltre i giovani straccioni saranno tornati da Torino o dalla Germa-nia. E' un giovane figliol pro-digo questo di Pasolini, co-sicché nel testo troviamo poco più avanti: e forse, forse, qualche giovane (uno dei pochi giovani / buoni tornati al nido) / tirerà fuo-ri un mandolino. Sicuramente la parabola del figliol prodigo sosteneva il retaggio a cui si ispira que-sto passo. I borghi vuoti di motori - riempiti dai gio-vani straccioni tornati - si collega a quel verso più in-nanzi, silenzioso nel suo sonno (Treni e corriere pas-seranno di tanto in tanto co-me in un sonno).
Al centro di questa prima sezione, accanto ai giovani non potevano che sostare i vecchi (padroni dei loro muretti come di poltrone di senatori), in gradatio i bambini (mentre oggetto di entrambe sono la minestra e il pane). Segue, natural-mente, la notte alla sera, mentre i due elementi suc-cessivi si riferiscono, no-nostante la dipendenza lo-gica da notte, ai termini del-la prima proposizione: grilli con sera e tuoni con la fine del mondo. L'evenienza dell' acustica naturale dei tuoni preordina l'armonia umana del mandolino. Sera, notte: non può che seguire il sonno, tra il passo di motori che non sono privati ma pubblici (Treni e corriere passeranno). Nella sezione strofica se-guente compaiono le città e chi le abita (la gente); que-st'ultima costituisce novità in sintonia con borghi vuoti di motori del primo verso, perché va a piedi: la condi-zione originaria dell'uomo sulla Terra, dato che il poeta allude al cavallo - mezzo privato - solamente alla fi-ne, mentre prevede prima solo mezzi pubblici (i treni e le corriere). La domanda da concreta (di un po' di soldi, di un piccolo aiuto) si fa affettiva (è solo di amore). Compare allora il palazzo pasoliniano, sogget-to-oggetto delle domande dei cittadini: Gli antichi pa-lazzi saranno come monta-gne di / pietra, soli e chiusi, come erano una volta.
Quest' ultimo sintagma pare rinfocolare quell'idea ro-mantica e pasoliniana di ri-valutazione del Medioevo, perché gli antichi palazzi possono essere stati soli e chiusi durante i primi secoli del Medioevo. A questo punto del testo appare l' idea di rifiuto della società industriale così come il poe-ta la vede, nella sua evolu-zione neocapitalistica (ma attenzione: si tratta delle piccole fabbriche, forse per-ché sono quelle che si sono
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insediate più facilmente e indiscriminatamente nei luoghi naturali e nascosti - sul più bello di un prato verde, nella / curva di un fiume, nel cuore di un vec-chio bosco di querce -). E' la polemica contro un mon-do che impedisce le luccio-le, altro topos pasoliniano di quegli anni. L'ultimo periodo della tra-duzione in nota di questo testo riprende il tema dei giovani come banditi cam-biati perché tornati a casa così diversi da / come erano partiti, ma non cambiati perché avranno i visi di una volta, innanzitutto. Una re-gressione al prima della fu-ga, dunque: capelli corti e gli occhi di loro madre, una denotazione infantile, ma-terna. Inoltre sono occhi pieni del nero delle notti di luna, perché la poesia è anche diacronia, e siccome il primo verso diceva di tramonti rossi, poi di sera e di notte, ora ci inoltriamo nella notte profonda - nero delle notti di luna -. Questi giovani banditi sono armati, Pasolini pensa sicu-ramente ai briganti sardi o siculi dell' Ottocento, nella tradizione figurativa col col-tello in mano, come simbolo di un'umanità che agiva di notte armata con l'arma, po-tremmo dire, tradizionale ed elementare della lama.
La gente, si diceva, va a piedi, ma nell'ultima strofa in dialetto compare il ca-vallo (in dialetto friulano il ciavàl: quanta memoria di lingua neoceltica), con uno zoccolo leggero come una farfalla: simbolismo natura-listico in pieno movimento, con la misura di quel toc-cherà la terra; simbolismo figurale, perché lo zoccolo del cavallo [...] ricorderà ciò che è stato, e lo ricor-derà in silenzio; ricorderà ciò che è stato, in silenzio, il mondo / e ciò che sarà. Uno zoccolo storico e insieme profetico, oltre che silenzio-so come una farfalla, perché leggero come una farfalla. A questo punto finisce la parte in dialetto e tradotta, comincia in seguito alle strofe dialettali un' ultima strofa di quattro versi in ita-liano: Ma basta con questo film neorealistico./ Abbiamo abiurato da ciò che esso rappresenta./ Rifarne esperienza val la pena solo/ se si lotterà per un mondo davvero comunista./
Ricorrono in questi versi in lingua alcune termini spesso presenti nell'universo di di-scorso pasoliniano: il film neorealistico, l'abiura, l'e-sperienza, il comunismo. E' come un ritorno in sé dopo l’imaginaire poetico, quindi un ritorno alla lingua italia-na contemporanea dal dia-letto friulano, lingua della gioventù di Pasolini, suono per lui materno; come se il poeta si riscotesse da un sonno: Treni e corriere pas-seranno di tanto / come in un sonno. In quel sonno si è calato durante la prova della scrittura poetica: è il sonno della sua esperienza gio-vanile friulana, e il risveglio non può essere che in lingua nazionale, della Roma dei primi anni settanta, ma an-che della Roma cinemato-grafica. Si badi allora che Pasolini ha abiurato non tanto dal film neorealistico (da iden-tificarsi con la porzione dia-lettale della sua poesia), bensì da quanto quel film rappresenta. Siamo ancora accolti nel dolore per il di-stacco da un mondo amato e perduto, cinematografico e insieme neorealistico. Pen-siamo allora al cinema di Pasolini, in particolare ad un passo letterario ad esso collegato, l'Abiura alla Tri-logia della vita, nella quale scrive: «Ora tutto si è rovesciato. Primo: la lotta progressista per la democratizzazione espressiva e per la liberalizzazione sessuale è stata brutalmente superata e vani-ficata dalla decisione del potere consumistico di concedere una vasta (quanto falsa) tolleranza. Secondo: anche la "realtà" dei corpi innocenti è stata violata, manipolata, manomessa dal po-tere consumistico: anzi, tale vio-lenza sui corpi è diventato il dato più macroscopico della nuova epoca umana.
Terzo: le vite sessuali private (come la mia) hanno subito il trauma sia della falsa tolleranza che della degradazione corporea, e ciò che nelle fantasie sessuali era dolore e gioia, è divenuto
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sudicia delusione, informe ac-cidia» 4. Questo passaggio in prosa, apparentemente altro dalla poesia esaminata, può testi-moniare e spiegare un iti-nerario di estraniamento del poeta dalla realtà consumi-stica; il quale estraniamento già si annunciava nella Re-cessione, umana perché e-conomica, di quel mondo che va verso una sera nera come la fine del mondo. Non a caso la redazione dell'Abiura risale al 15 gi-ugno 1975, giorno di elezio-ni politiche in Italia, e risale a non molto più di un anno dalla nostra composizione poetica; possiamo dire che ne costituisca esplicazione in prosa e che annunci una regressione conseguente al consumismo, vale a dire: consumismo, ergo regres-sione umana. Ad opera di quale forza avviene questa regressione? Nell'Abiura citata è chiaro: ad opera di una vasta (quanto falsa) tol-leranza.
Semiapocalittiche conse-guenze del consumismo - si veda il fondo a tinte chia-roscure della poesia - si pro-filano attraverso un certo ti-po di tolleranza. Sembra che Pasolini voglia che si vieti di più. A chi? Forse a lui peccatore? Ma tutti gli uo-mini lo sono. Qui piuttosto lo scrittore sente la necessi-tà di un divieto al mercato, all'industria, alle piccole fabbriche (ma è evidente che intende il capitale in ge-
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Nota 4
Cfr. P. P. PASOLINI, Abiura della Trilogia della vita, in Tri-logia della vita, Bologna, Cap-pelli, pag. 11.
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nere, e non solo industriale). Solamente con questa ri-flessione si spiega il riferi-mento nell'ultimo verso in italiano della Recessione al comunismo, nella sua origi-naria e marxiana valenza di interdizione dal libero mer-cato (un mondo davvero comunista). Proprio per questo Pasolini scrive questa poesia in friu-lano, testimonianza di un tempo perduto che lo attira, profezia di una negatività economica che coincide con un aumento positivo di vi-vibilità, espiazione dal pec-cato delle cose, ricercata re-denzione da parte di chi si nascondeva nella tolleranza all'obbligo di liberarsi. La tolleranza nei confronti del neocapitalismo consu-mista deve terminare, indica il poeta, se no l'umanità si oscura e la sera a sarà nera coma la fin dal mond. Abbiamo iniziato questo studio con una citazione da una recensione continiana risalente agli anni friulani di Pasolini, quelli in dialetto. La concludiamo con un'altra pagina di Contini che com-memora lo scrittore negli anni a lui postumi, consona pure al regime tematico di elementarità degli assunti e di modestia delle prospet-tive nella Recessione: «La qualità che Pasolini posse-deva in rara misura era dunque non l'umiltà, ma qualcosa di più difficile da ritrovarsi: l'amore del-l'umile, e vorrei dire la compe-tenza in umiltà. Se non ricordo male (l'informazione col contorno mimico solito in quel grandissimo attore, mi veniva da Roberto Lon-ghi) la tesi di laurea bolognese di Pasolini verteva su Pascoli. Era infatti l'unico suo antenato sop-portabile, fra tanto fasto (e so-prattutto aspirazione al fasto) del-la tradizione prossima». Contini prosegue: «Al fondale povero di San Mauro consuona l'iniziale fondale pove-ro della landa intorno alla Delizia, che non manca di solcare una vena alessandrina e "conviviale" concentrabile fin dalle Poesie a Casarsa nel simbolo struggente della viola, poi destinata a tra-sferirsi nell' ambito ritmico, anzi naturalmente aritmico e sintatti-camente contrastato, col "verso lungo" della poesia in lingua». Si ponga attenzione a come prosegue poi il critico: «Il mondo di Pascoli è sub-umano e rigorosamente non urbano (tran-ne, è ovvio, le Atene e Roma in sublime cartapesta del suo reper-torio archeologico), il mondo di Pasolini è abitato da esseri on-tologicamente indigenti, di cui la tradizione non aveva ancora preso nota». Queste condizioni (non solo pascoliane) sono presenti nella Recessione quasi tutte - manca quella rigorosa non urbanità -; da ciò la poesia appare ancora più collegata alla Abiura della Trilogia della vita se quelle condi-zioni son spiegate da quest' altro passo continiano: «Pasolini invece combatteva se-riamente (benché, è da temere, con la tattica meno efficace, posto il ruolo di contraddittore che gli era ufficialmente assegnato) con-tro il cosiddetto consumismo e i dogmi di comportamento che es-so importava».
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Proseguendo da qui con la dichiarazione di antiillumi-nismo nella sostanza che Pasolini esprimerebbe, Con-tini conclude: «Le virtù che egli rimpiange sono quelle, sicure ma probabilmente condannate a morte, appartenenti ad una società arcaica, agricola, patriarcale. La sua utopia non è prospettica ma nostalgica. E non è questo l'aspetto meno dram-matico di un'esistenza tutta dram-matica (in quanto contenente un selvaggio desiderio di vita, anche in questo lato retrospettivo)». Dulcis in fundo:
«Significativo è il suo tardo ritor-no alla poesia dialettale nella nuo-va edizione della Meglio gioven-tù, che egli si giustifica di conti-nuare a dedicarmi, anche in quel-lo che tutto esorbita da un mio in-coraggiamento mentale alla pen-sabilità» 5. Con il conforto critico di Gianfranco Contini, il cer-chio dell'amicizia fra costui e uno dei maggiori poeti del secolo si suggella. Infatti l'epigrafe a questa nuova e-dizione di poesie pasolinia-ne così è fissata dall'autore: Ancora a Gianfranco Contini/ e sempre con "amor de loinh".
STEFANO BOTTARELLI
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Nota 5
Tutta la cit. da Gianfranco Con-tini, Testimonianza per Pier Pao-lo Pasolini, in Ultimi esercizi ed elzeviri (1968-1987), Torino, Ei-naudi, 1989. Si tratta della con-versazione del 28 marzo 1980, i-naugurativa del convegno-ras-segna su Pasolini tenuto a Novoli, in provincia di Firenze, antici-pata, prima che negli Atti relativi, sul Ponte, XXXVI (1980), pp. 339-45.
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PASOLINI E LA CRITICA DEL CAPITALISMO: FILOSOFIA O IDEOLOGIA?
Rngraziamo di cuore Ste-fano Bottarelli, II Premio “Frate Ilaro” nel 2009, per il prezioso contributo circa un autore non usuale come Pasolini, su cui ci impe-gniamo molto volentieri. D'altronde, una critica (an-che) al Capitalismo è uno dei temi che la Compagnia del Veltro deve necessaria-mente affrontare nella sua ricerca della migliore deter-minazione possibile della Città dell'Uomo. Siano tuttavia subito chiare due cose:
1) Il Marxismo nella Storia ha fatto non meno morti (se non di più) di tutte le co-siddette “Destre” messe as-sieme.
2) Essere anticapitalisti non significa necessariamente essere pensatori di “sini-stra” secondo la comune accezione italiana del ter-mine. Ora, Pasolini, che non era davvero un ignavo, una po-sizione politica ben precisa la prese anche nel senso proprio di “politica di par-tito”, e non si può davvero dire che egli fu un elettore di destra in nessuna delle possibili accezioni interna-zionali del termine. Tuttavia, in questa lirica in-teressantissima che è La re-cessione, con quel finale stupefacente, non abbiamo a che fare con una critica del capitalismo semplicisti-ca o faziosa: tutt’altro.
Stefano Bottarelli centra su-bito il tema quando inter-preta il passo cruciale delle “piccole fabbriche”: non può che trattarsi di quelle realizzazioni a cui il poeta ascrive la responsabilità della distruzione, ovunque nel nostro Paese, della pre-ziosità delle campagne, em-blemi di una dimensione del vivere schietta, e perciò ne-cessariamente onesta, come quella contadina di cui si decreteva ormai, con giusto sgomento di Pasolini, la ro-vina definitiva. Ma Bottarelli non sbaglia neppure quando generaliz-za il concetto attribuendo a Pasolini una critica genera-le al Capitalismo e alla sua logica consumistica. Ed è qui che la materia si fa particolarmente complicata con quel termine (“lotta”) posto quasi a fondamento di un “mondo” che sia “dav-vero comunista”. Se Bottarelli, sempre assai puntualmente, parla di una società evocata dal poeta all'insegna di una «interdi-zione dal libero mercato», la soluzione operativa a cui pensa ed ineggia Pasolini in quei pesanti anni ’70 è sem-pre e soltanto rappresentata dal leit motiv immutabile della sinistra radicale: la “lotta”. Va da sé che questa idea si presenta alle nostre sensibilità come una delle tante espressioni della “pe-ste” evocata dal genio di Albert Camus.
C'è sempre di mezzo lei, quella maledetta “lotta”, quell'idea necessariamente armata, quel confronto ine-vitabilmente fratricida ispi-rato dalle genetiche con-
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traddizioni settaristiche di un “autore” come Marx.
In Marx, infatti, è onnipresente l’incapacità, lui ebreo, di guardare al mondo in ter-mini di Fratellanza Univer-sale. Beninteso: la critica al Consumismo – un altro te-ma in quegli anni fortemen-te imposto alla generale co-scienza di Sinistra – non è certo privo di basilari mo-tivi di fondo. Pasolini si era reso perfettamente conto che l'uso genetico del capi-talismo di tipo americano (la cui origine è anch’essa di una chiara matrice setta-ristica) di stressare gli In-dici, non serviva ad altro che a garantire sostenibilità ad un sistema che soste-nibile non lo è affatto e dun-que destinato comunque ad una crisi irreversibile.
Forse, allora, che Pasolini abbia voluto segnare La re-cessione con un tono di au-tentica Profezia? Purtroppo dobbiamo dire di no: se così fosse, infatti, per quale mo-tivo il poeta ha parlato di “lotta” piuttosto che di una “Resistenza”, intesa nel senso puntuale di una attesa stoica del proprio trionfo inevitabile? Forse – si dirà – per evitare le “vittime del Capitalismo”? L'argomento non è affatto convincente, perché anche la “lotta” e-vocata dal Poeta, nell'acce-zione della (Prei)Storia che ha finora contraddistinto il cammino dell'Uomo, di vit-time ne ha sempre prodotte in massima quantità. E se anche si fosse trattato di un concetto diverso di “lotta”, Pasolini non avrebbe potuto mancare di precisare ade-guatamente. Bottarelli, dunque, ha visto molto bene: al di là di ogni dubbio si parla di un «co-munismo, nella sua origina-ria e marxiana valenza», “lotta rivoluzionaria” com-presa. Non Gandhi, allora, non presagi di nuovi paradigmi come Decrescita et similia: il paradigma è sempre e soltanto uno: quello della contrapposizione di classe, quello della “lotta”. Eppure abbiamo a che fare con una personalità tra le più libere ed intellettual-mente oneste del XX secolo: Pasolini fu un acceso avver-satore del divorzio e soprat-tutto dell’aborto. Quanto a-veva ragione, lui, gay, ora che in condizioni di crescita zero ci vediamo invasi da orde di conigli di cultura aliena e imbrigliati da una legislazione che incentiva “l’usa e getta” dell’essere umano piuttosto che inco-raggiare la maternità nazio-nale attraverso una lauta ricompensa economica ed un istituto assai più efficien-te dell’adozione definitiva! Siamo sicuri che oggi Pa-solini non griderebbe a-ffatto all’eugenetica e di-sprezzerebbe anche la folle esaltazione dell’omosessua-lità a cui assistiamo quasi quotidianamente e soprat-tutto le becere comparsate in televisione di certi auten-tici esibizionisti. Così come, ancor di più, disprezzerebbe le cialtronate planetarie dei “gay pride”.
Non solo: Paolini fu addi-rittura un durissimo critico dell’intoccabile movimento studentesco sessantottino e la foto n. 1 sembra illustra-re magnificamente le per-plessità nutrite dal poeta di fronte “ai valori in gioco”.
Per questo avremmo tanto voluto poter trattare di un Pasolini che alza il suo urlo contro “il Mercante”, ma bisogna ammettere che la sua protesta è ancora trop-po ideologica e troppo poco filosofica per raggiungere tali livelli speculativi. Insomma, siamo lontani, dal rifiuto radicale che fu di Wagner esemplato nel finale titanico della sua Te-tralogia del Nibelungo: nel-la sublimità del Crepuscolo degli Dei operato nella sua ultima grande edizione (di-retta da Zubin Metha al Maggio Fiorentino per la scenografia de La Fura dels Baus), dove si è visto magi-stralmente spiegare le vele un pensiero impossibile ma doveroso: l'idea d'un mondo all'insegna della pura soli-darietà tra gli uomini, con i simboli degli antichi “Dei falsi e bugiardi” di Dante - cioè Dollaro, Euro e Yen - che venivano avviati al rogo senza alcun appello.
Ecco: quello anelato dal ge-nio di Wagner (Udite! Udi-te!), è il “mondo davvero
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comunista” di Pasolini. Ma il rogo di Wagner è Nobiltà assoluta, non follia rivolu-zionaria. Però onore, tanto onore a quest’uomo onesto, a questo straordinario libero pensa-tore innamorato dell’Uomo e della sua Città, a questo eterno fanciullo con le ali, perché come disse Churchill (un personaggio che, pera-ltro, io personalmente dete-sto) «chi non è comunista da adolescente non ha cuo-re; chi lo è da adulto non ha cervello». In senso marxia-no, naturalmente. Forse nell’occasione de La recessione Pasolini più, che un poeta, è da considerare un “cantautore impegnato”. In effetti pochi lo sanno, ma fu proprio lui uno dei gran-di padri fondatori della “canzone d’autore”. “Lunigiana Dantesca” è a disposizione di tutti coloro che volessero contribuire ad ampliare in modo costrut-tivo la presente discussione. Complimenti a Stefano Bot-tarelli per il correttissimo inquadramento della lirica e grazie ancora per l’occa-sione offerta.
M.M. (rettore)
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Bollettino n° 73 - on-line del
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