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La fame delle donne. Marosia CASTALDI. (di M. G. Rongo - 30-05-2012) |
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LA FAME DELLE DONNE di Marosia Castaldi
(a cura di Maria Grazia Rongo)
Un ristorante e la ricerca del piacere. Culinario
e anche sessuale.
E' tutta femmina la grande abbuffata.
Una storia molto carnale condita di "napoletanità".
Un rito famelico per scacciare la paura del nulla.
.....................
Amano le donne, per non morire.
Tra sacralità e carnalità, si esprime la voglia di
sublimare le loro esistenze, ad ogni costo, e perfino
il dolore può diventare funzionale a questo progetto
di vita. E' quello che fanno le protagoniste di
"La fame delle donne" della scrittrice napoletana Marosia
Castaldi, edito dalla salentina Manni.
Una storia che si muove intorno al percorso della ricerca
del piacere compiuto da Rosa, amata e amante, sognante
e sognata, madre e figlia per sempre, epicurea incarnazione
di una donna che potrebbe attraversare i secoli e non essere
diversa da come è. E' lei che racconta e si racconta, a partire
dalla passione per la preparazione di invitanti ricette, e poi
le incursioni nel periodo dell'infanzia e nelle successive fasi
della vita, fino all'analisi del rapporto controverso e viscerale
con la figlia e le sollecitazioni che le arrivano dall'incontro
con tante altre donne incrociate nel ristorante che ha messo
su nella bassa Padana.
Un'altra protagonista è sicuramente la "napoletanità" che si
respira nel racconto.
Un modo di stare al mondo che l'autrice conosce bene,
perché fa parte del suo DNA genetico e letterario,
uno stile vorace e lento al tempo stesso, che contribuisce
a disegnare una storia molto carnale, che prende a morsi
le vite delle protagoniste, come fa Rosa.
Il tormento che la accompagna da sempre trova la sua
ancora di salvezza proprio nelle sue molteplici passioni
che arrivano quasi a sfinirla.
Alla noia si contrappone la ricerca del piacere, sia esso
culinario o sessuale. Nelle "grandi abbuffate" che si
consumano nel suo ristorante, Rosa regala attimi di
godereccia convivialità agli avventori, grazie alla
tradizione millenaria che si respira nella sua cucina, e
da loro invece succhia la sua sopravvivenza, soprattutto
dalle donne. Corpi e anime che comincia ad amare nelle
loro caratteristiche tutte diverse e che trovano nella
congiunzione con il suo corpo e la sua anima, la giusta
collocazione nella storia.
Non esiste la punteggiatura nel romanzo di Castaldi.
Intuiamo l'inizio o la fine di un discorso dalla capacità
che l'autrice ha di interagire con il lettore, segnando le
tappe di un immaginario percorso di condivisione che si
consuma da una parte all'altra della pagina scritta, il tutto
in una circolarità sottolineata costantemente dal ripetersi
di interi brani più e più volte.
Le pause le creiamo noi leggendo, a volte aiutati da maiuscole
non precedute comunque dal punto, e altre volte sono le
parole adoperate a indicarci la strada e il momento della
riflessione.
Parole che si intrecciano agli odori, ai sapori, mescolandosi
senza un ordine preciso.
Non c'è il tempo per decidere se mangiare, bere, parlare,
sospirare, si fa tutto di getto, continuativamente, per non morire.
Perché sembra proprio questo il motore che muove ogni
azionedelle protagoniste, la loro insaziabile avidità, rito
famelico che scaccia la paura che finisca tutto all'improvviso
e che le loro vite non lascino alcuna traccia importante.
Forse avremmo amato qualche ripetizione in meno, ma
in effetti l'equilibrio del racconto si realizza proprio in
questa nenia cantilenante che ricorda le notturne litanie
delle prefiche del sud di ogni mondo.
Un rituale arcaico, come atavica è la fame delle donne,
sempre alla ricerca di una sorgente vitale, ignare,
il più delle volte, di essere loro stesse quella sorgente.
- - - LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO - -
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