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Poesie, aforismi, filosofia, foto del mondo, concorsi, matematica, personaggi, UFO. |
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In Nome Della Bellezza (Stefano Zecchi 26-03-2012) |
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In nome della bellezza
Stefano Zecchi il 26.03.2012, alle 20:08:02 Uhr
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In tempi di crisi, l’arte dovrebbe impegnarsi nella ricerca di nuovi simboli comunicativi.
In ogni epoca, i grandi artisti sono stati in grado di esprimere la sensibilità, i valori, le utopie del proprio tempo, rappresentandolo o anticipandolo. Tra le tante domande che ci rivolgiamo in questi giorni, in cui la crisi economica sta condizionando il nostro modo di vivere, si potrebbe aggiungerne un’altra, che riguarda la relazione tra la crisi e l’arte. Gli artisti, i veri artisti, avvertono oggi nella loro creatività i problemi generati dall’attuale situazione economica, politica, sociale?
La grande rivoluzione formale nelle arti tra la fine del XIX secolo e i primi decenni del XX è stata determinata dalle trasformazioni provocate dall’industrializzazione del lavoro e dalla pervasività del sapere scientifico che ha modificato radicalmente gli statuti della conoscenza della realtà. Si trattò di una rivoluzione culturale che dislocò la millenaria formazione dell’uomo dall’educazione estetica a quella scientifica. Il segno evidente nelle arti di questo cambiamento fu la caduta della categoria del bello dal giudizio estetico. La bellezza divenne un inutile concetto della creatività artistica. Naturalmente mi riferisco alle grandi avanguardie del ‘900 e agli artisti che ne proseguirono i modelli formali, spesso ripetendoli con stucchevoli manierismi.
Se esaminiamo il periodo intorno alla fine degli anni ’20 in Occidente, contrassegnati da una profonda depressione economica, che gli analisti considerano per molti aspetti simile a quella che stiamo attraversando oggi, ci accorgiamo che la crisi non influì in modo significativo sulle arti, sui modelli estetici nati dalla rivoluzione industriale, dalla pervasività del sapere scientifico, dalla massificazione della cultura.
In questo senso, l’attuale crisi economica è molto diversa da quella degli anni 20. È in crisi un modello di società, il suo Welfare, la sua democrazia rappresentativa: viene cioè destrutturata quell’idea di collettività che nasce e si sviluppa nel ‘900 con la grande industria, con il potere della scienza, con il concetto guida di progresso, rappresentata dalle avanguardie artistiche. L’attuale crisi non è nella sua essenza economica, ma è piuttosto causata dal dominio dell’economia sullo sviluppo sociale.
Siamo stati, per così dire, abituati a pensare che la cultura sia il fondamento della politica e che questa diriga l’economia per realizzare quell’idea di società che nasce da una determinata visione culturale. Oggi si è rovesciata la situazione: l’economia comanda la politica che non se ne fa nulla della cultura. L’arte dove si colloca? Nell’inutile. Può uscire da questo luogo di inutilità?
No di certo.
Tuttavia c’è una questione che ci fa capire quanto l’arte possa essere decisiva per ridefinire i principi di comunicazione del significato, del valore, del senso della vita: è il problema dell’arte religiosa.
L’arte è stata il più potente strumento dell’apologetica cristiana, cioè di un fondamento imprescindibile della cultura occidentale moderna. Oggi le autorità ecclesiastiche riconoscono che l’arte cristiana attraversa una crisi che deve superare per poter continuare a testimoniare la parola di Cristo. Ma per questo superamento è necessario che l’artista trovi un’energia creativa in grado di risimbolizzare il mondo nel segno della bellezza della parola di Cristo. Se anche l’arte laica s’impegnerà nella ricerca di propri nuovi simboli comunicativi, di nuova bellezza vivente, uscirà dalla sua inutilità in cui l’attuale crisi sociale e politica (molto più profonda di quella economica) l’ha condannata.
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In the Name of Beauty
Stefano Zecchi il 27.03.2012, alle 13:29:59 Uhr
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In times of crisis, art should strive to find new communicative symbols.
In every age, great artists have proven capable of expressing the sensitivity, values and utopias of their time, representing or foreshadowing them. To the many questions we are asking ourselves these days, in which economic crisis is conditioning our way of living, we might want to add one concerning the relation between this crisis and art. Are artists nowadays – genuine artists – feeling any repercussions in terms of creativeness from the problems engendered by the current economic, political and social situation?
The great formal revolution which took place in the arts between the late 19th and early 20th century was brought about by the transformations caused by the industrialization of work and the pervasiveness of scientific knowledge, which radically altered our perception of reality. This cultural revolution engendered a shift in the age-old patterns of human education from the aesthetic field to the scientific. A clear marker of this change in the arts was the discarding of beauty as a category for aesthetic evaluation. Beauty came to be regarded as a useless concept of artistic creativeness. I am of course referring to the great avant-gardes of the 20th century and the artists who have embraced their formal models, often repeating them with tacky mannerisms.
If we examine the West in the late 1920s, which experienced a profound economic depression that analysts regard as being in many ways similar to the one we are now living through, we shall soon realize that the crisis did not have any significant influence upon the arts and the aesthetic models sprung from the industrial revolution, the pervasiveness of scientific knowledge, and the spread of mass culture.
In this respect, the present economic crisis is very different from that of the 1920s. What has entered into crisis is our very model of society, with its welfare and representative democracy. In other words, what has been undermined is the idea of community that had first emerged and developed in the 20th century with big industry, the power of science and the idea of progress as a point of reference, and which had been embodied by the artistic avant-gardes. The present crisis is not essentially economic, but rather caused by the hold of the economy over social development.We have all grown used to thinking, so to speak, that culture lies at the basis of politics and that the latter guides the economy in order to accomplish the ideal of society sprung from a given cultural outlook. Nowadays the opposite holds true: the economy dominates politics, which ignores culture. Where does art stand? In the realm of uselessness. Can it overcome this uselessness? Certainly not. Yet there is one question which helps realize just how crucial art can be as a means of redefining the principles by which the meaning, value and purpose of life are conveyed: the issue of religious art.
Art has been the most powerful tool for Christian apologetics, which is to say an essential foundation of modern Western culture. Church authorities nowadays acknowledge the fact that Christian art is experiencing a crisis which must be overcome if it is to continue witnessing Christ’s message. But in order to do so, it is necessary for artists to find a new creative energy capable of recharging the world with the beauty of Christ’s message. Only by pursuing new communicative symbols of its own, with a new vibrant beauty, will secular art too be able to overcome the uselessness to which it has been confined by the current social and political crisis (that runs far deeper than the economic one).
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