POESIA. ESISTENZA. CRISI.
(di D. Ruggiero)
Oggi sono stato poco bene. Poi ho riflettuto. Ma perché ho riflettuto? Sulla vita, sulla poesia, sulla nostra cara esistenza. Sì, cara! Ma in tutti i sensi.
Cara come un voler bene a questa nostra vita; cara perché ci costa troppo; cara perché ci piace stare con gli altri e condividere emozioni; cara perché ci porta il dolore.
Niente di preoccupante, ben inteso.
Parliamone da un punto di vista ingegneristico.
Siamo dei palazzi. Ben piantati per terra, con fondamenta, a volte anche antisismiche.
Ma siamo sopra un pianeta, siamo sulla terra, su di una base.
La terra trema, per terremoti, per assestamenti; i palazzi (noi) incominciano a tremare, a scuotersi, a perdere l’equilibrio. Cadono i calcinacci sulla nostra testa; ci facciamo del male; i nostri quadri, le nostre viste dalla finestra per un po’ perdono la solita visuale, si annebbiano, si alterano; sono secondi, momenti infiniti, non so; ognuno ha il suo tempo.
E incominciamo a prendere appunti, appunto, sulla nostra cara esistenza!
E questo ultimamente lo avvertiamo molto sempre più frequentemente: nella società, in noi stessi, nei veri palazzi, nel cedimento delle istituzioni. Tutto traballa, ciò che ci circonda è entrato in fibrillazione, IN CRISI.
Le strutture non sono più solide. E’ la fine?
E’ la vetustà di questi palazzi? Di queste costruzioni?
Ognuno la prenda come vuole. Sono costruzioni andate in CRISI.
E quei palazzi (noi), che hanno subito di più il movimento tellurico ancestrale diventano poeti. Perché avvertono se stessi, avvertono quel mondo di cui hanno smosso le fondamenta; forse nemmeno lo sanno perché scrivono, forse pensano per diletto o giovamento; non sanno di essere andati in CRISI. Il desiderio intrinseco è di vedere un’altra natura umana che si mostra, un altro mare, un nuovo tipo di amicizia, una nuova minestra che si mangia dolcemente in compagnia. E non frettolosamente, per uscire da palazzi disabitati, lasciati alla mercé di estranei, perché si deve correre. La terra è in crisi, noi siamo in crisi, e i poeti aumentano.
Ma pensate che al tempo del Carducci vi erano tutti questi poeti? Era il CARDUCCI, che era andato in crisi.
Saffo entrò in crisi. Ogni tanto qualche palazzo qua e là traballava. Oggi traballano tutti, tutti diventano poeti, e nessuno sa perché. Forse perché sono aumentate le lauree, è stata favorita la conoscenza, oppure perché è aumentata la paura, l’insicurezza? Niente è più al suo posto. E noi andiamo avanti, corriamo all’impazzata, per far più confusione …
(Trani, - 14-10-2012)